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Il termine “neovagina”, che letteralmente significa “nuova vagina”, indica l’area vulvovaginale ricostruita chirurgicamente nelle donne transgender, che assomiglia a una vagina naturale.
Generalmente, la neovagina viene realizzata utilizzando i tessuti del pene, dello scroto e/o del colon. Si parla di neovagina anche per indicare la ricostruzione di vagine in caso di anomalie congenite, neoplasie vaginali e disturbi intersessuali in donne cisgender.
Interventi chirurgici per la transizione da genere maschile a femminile (M2F)
I dati esistenti potrebbero sottostimare il numero delle operazioni per l’affermazione di genere (compresi gli interventi di creazione della neovagina), a causa di molti degli stessi fattori che limitano gli studi sulla prevalenza transgender, come l’uso di termini troppo ampi per descrivere le varie identità e la mancanza di ricerche basate sulla popolazione.
Di seguito sono riportate alcune stime in merito alla popolazione transgender e agli interventi chirurgici:
- Negli Stati Uniti, lo 0,56% degli adulti (560 su 100.000) si identifica come transgender: tra questi, il 5-13% è rappresentato da transgender M2F, il 28% dei quali si sottopone a chirurgia per l’affermazione di genere. Secondo l’American Society for Plastic Surgeons, le operazioni per l’affermazione di genere nelle donne trans sono aumentate dell’11% tra il 2019 e il 2020, (1.231 interventi nel 2020 rispetto ai 1.108 del 2019).
- In Europa, si stima che 4,6 persone su 100.000 siano transgender (in base a dati forniti dal 1968 al 2014 da persone in trattamento nelle cliniche); le stime per la transizione M2F, però, non sono indicate e non sono disponibili dati sugli interventi chirurgici.
- In Germania, secondo una ricerca svolta nel 2000, si stimava che 4,26 persone su 100.000 fossero transgender: tra queste, 5,48 persone su 100.000 erano donne trans. Non vi sono, però, informazioni sull’intervento chirurgico.
Definizioni utili |
Transgender: una persona la cui identità di genere differisce dal sesso che aveva alla nascita o dal genere che le è stato attribuito.
Cisgender: a volte cisessuale, spesso abbreviato come “cis”, è un termine che indica le persone la cui identità di genere corrisponde al sesso che è stato loro assegnato alla nascita. Chirurgia per l’affermazione di genere: interventi chirurgici eseguiti per allineare l’anatomia all’identità di genere; i termini “riassegnazione di genere” e “cambiamento di sesso” sono considerati offensivi e non vengono più utilizzati. |
Come funziona la neovagina?
Lo scopo della chirurgia per l’affermazione di genere M2F è quello di creare una vagina e dei genitali esterni che assomiglino il più possibile a quelli femminili, senza cicatrici o neuromi traumatici post operazione.
La descrizione clinica di una neovagina ideale prevede che sia umida, elastica e senza peli, non inferiore ai 10 cm di profondità e di circa 3-4 cm di diametro, senza stenosi introitali. La sua innervazione deve fornire la giusta sensibilità per raggiungere un livello di stimolazione erogena soddisfacente durante i rapporti sessuali.
Il clitoride formato chirurgicamente deve essere piccolo e nascosto ma sensibile, in grado di procurare un’eccitazione appagante. Le piccole e grandi labbra devono assomigliare il più possibile a quelle femminili.
Per mantenere intatte le dimensioni e la profondità della neovagina, è importante prolungare l’assistenza post-operatoria fino a un anno dopo l’intervento.
Percezioni errate sulla neovagina |
È un’idea sbagliata ma diffusa, spesso riportata online e sui social media, che il canale vaginale risultante dall’intervento di vaginoplastica sia una “ferita aperta”. In realtà non è così, poiché si tratta di un canale realizzato chirurgicamente. In ogni caso, il canale dovrà essere dilatato per evitare che i muscoli e il tessuto cicatriziale si contraggano e riducano le dimensioni dell’apertura. La dilatazione della neovagina deve essere eseguita durante tutto il processo di guarigione e per almeno un anno dopo l’operazione. |
Trapianto di utero (UTx) dopo la vaginoplastica
L’UTx è stato sviluppato per l’agenesia vaginale nelle donne cisgender e permette a chi ne soffre di rimanere incinta e avere figli biologici. In questo gruppo, la tecnica di creazione della neovagina è fondamentale per il successo chirurgico del successivo trapianto.
In base ai dati raccolti fino al 2019, il numero di parti riusciti con questo metodo è esiguo. Questo ha portato a ipotizzare che la procedura potesse essere adatta alle donne transgender M2F. Nonostante ci siano una serie di questioni di natura anatomica, ormonale e di fertilità da prendere in considerazione, non esistono argomenti clinici convincenti per impedire l’esecuzione dell’UTx come parte dell’intervento di affermazione di genere.
Tuttavia, dopo il trapianto di utero in una persona transgender M2F, la presenza di una neovagina realizzata con tessuti cutanei o intestinali, nel contesto dell’immunosoppressione, potrebbe aumentare la suscettibilità alle infezioni neovaginali ricorrenti e creare un ambiente ostile che impedirebbe di portare a termine una gravidanza, come è già stato riportato nel caso di alcune donne cisgender sottoposte a questo tipo di vaginoplastica.
Microbioma e pH di una neovagina
Un microbiota ottimale in una vagina naturale è composto da specie di Lactobacillus. Le comunità microbiche non ottimali includono Gardnerella vaginalis, Atopobium vaginae, Prevotella, Mobiluncus e altre specie di batteri anaerobi, spesso caratterizzate da una più alta diversità e associate a un’infezione nota come vaginosi batterica.
I profili microbici, determinati mediante spettrometria di massa in un piccolo studio, hanno rivelato strutture comunitarie microbiche distinte nei compartimenti neovaginale, rettale e vaginale di donne transgender e cisgender. Nello specifico, le neovagine presentano una maggiore abbondanza di Porphyromonas, Peptostreptococcus, Prevotella, Mobiluncus e Jonquetella e la loro composizione microbica è più simile a quella di una vagina in cui le specie di Lactobacillus non sono predominanti.
Quali sono le cause della differenza nella composizione del microbioma di una neovagina rispetto a una vagina naturale?
Le neovagine realizzate con i tessuti cutanei del pene presentano comunità polimicrobiche diversificate che mostrano una composizione simile a quella dei peni non circoncisi e reazioni simili a quelle delle vagine affette da vaginosi batterica, tra cui un aumento delle vie di attivazione immunitaria e una diminuzione della funzione protettiva dell’epitelio.
Differenze del pH rispetto alle vagine naturali
Uno studio condotto su 50 donne transgender ha osservato che il pH della neovagina era di base più alto (media di 5.8; intervallo 5.0-7.0) rispetto a quello di una vagina naturale.
Questa differenza non è inaspettata poiché il pH acido (3.8-4.5) di una vagina naturale deriva principalmente dalla produzione di acido lattico da parte dei lattobacilli residenti ed è reso ancora più acido da un’azione attiva della pompa protonica dell’epitelio vaginale, un meccanismo regolato dagli estrogeni.
Infezioni della neovagina
Infezione vaginale da lieviti (candidosi)
Da uno studio è emerso che una paziente su 5 ha sviluppato una candidosi neovaginale sintomatica dopo la vaginoplastica a inversione peniena.
Da una serie di casi clinici di cinque pazienti con candidosi è emerso che ciascuna delle pazienti presentava perdite neovaginali di colore bianco, associate in alcuni casi a prurito neovaginale e/o cattivo odore. Tutti i casi sono stati trattati a livello topico con miconazolo, con conseguente scomparsa dei sintomi.
Vaginosi batterica
Sebbene i dati sulla composizione e sulla funzione del microbioma neovaginale siano limitati e rappresentino una lacuna nella conoscenza della salute neovaginale, un piccolo studio ha rilevato (N=42) che le neovagine realizzate con i tessuti cutanei del pene presentano comunità polimicrobiche diversificate che mostrano una composizione simile a quella dei peni non circoncisi e reazioni simili a quelle delle vagine affette da vaginosi batterica.
Infezioni delle vie urinarie (IVU)
La vaginoplastica, sia nel caso di neovagine che di vagine naturali, è associata a una maggior predisposizione alle infezioni delle vie urinarie (IVU). Dopo un intervento di vaginoplastica, quindi, è abbastanza comune riportare problemi alle vie urinarie, con disturbi che insorgono in circa il 15%-32,2% delle pazienti dopo l’operazione.
I sintomi includono un aumento del tempo di svuotamento della vescica, esitazione minzionale e getto urinario divergente. Sono state segnalate anche infezioni delle vie urinarie (IVU) e incontinenza urinaria.
Malattie sessualmente trasmissibili (MST)
Diversi studi hanno evidenziato un alto rischio di MST di origine batterica tra le donne transgender, soprattutto gonorrea extragenitale e clamidia: i primi due casi clinici sulla clamidia nelle neovagine risalgono al 2019.
A livello globale, le donne transgender sono una popolazione ad alto rischio per quanto riguarda il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e le MST.
Papilloma virus umano (HPV)
Le donne che compiono la transizione da genere maschile a femminile, con la creazione di una neovagina, potrebbero presentare il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro vulvovaginale, anche se attualmente esistono pochissime raccomandazioni specifiche in merito allo screening oncologico per le persone transgender.
Un caso clinico ha mostrato lo sviluppo di un carcinoma a cellule squamose associato al virus del papilloma umano (HPV) in una neovagina creata da tessuto scrotale.